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Immagine del redattore P. Ezio Lorenzo Bono, CSF

🇮🇹 LA CATTIVA ABITUDINE DI ESSERE INFELICI 🇵🇹 O MAU HÁBITO DE SER INFELIZ


🇮🇹 LA CATTIVA ABITUDINE DI ESSERE INFELICI

(testo e video in 🇮🇹 italiano)

Una riflessione per la XXIV Domenica del Tempo Comune C (11–9-2022)

> Lc 15,1-32 (La moneta ritrovata)

I.

Tra i libri che ho letto questa settimana ce n’è uno che mi è piaciuto molto e l’ho divorato in poche ore, è l’ultimo libro di Ivan Petruzzi uscito l’anno scorso dal titolo “La cattiva abitudine di essere infelici”. Egli propone un cammino di liberazione da questa cattiva abitudine, fatto di 4 passi, partendo dalla consapevolezza del problema per arrivare al cambiamento. Il primo passo è la consapevolezza che viviamo una vita dominata dall’ansia che infetta tutti, non solo gli adulti che si imbottiscono di ansiolitici ma anche di adolescenti e giovani, milioni dei quali hanno tentato il suicidio o si auto-isolano rinchiudendosi per mesi e mesi nella propria stanza senza uscire, o escono solo di notte o all’alba per non incontrare nessuno (giovani Hikikomori). Gli uomini non solo si sono abituati ad essere infelici, ma addirittura si sono affezionati a questa abitudine diventandone dipendenti. Petruzzi descrive in modo impietoso quello che lui chiama l’ “infelice patologico” sempre alla ricerca di ogni marciume nel mondo, che si tiene alla larga dalle persone "positive" e si circonda solo di esseri come lui. Due le caratteristiche costanti di questi infelici: quella dello “doomscrolling” cioè della ricerca ossessiva di cattive notizie (dooms = sciagure e scroll = scorrere), e quella della “bias confirmation” (bias = pregiudizio e confirmation = conferma), e cioè la tendenza a selezionare solo ciò che conferma le proprie idee (o pregiudizi) e eliminare quelle contrarie. E così si viene catalogati con algoritmi che confermeranno sempre più la nostra visione distorta (e infelice) del mondo. L’infelicità quindi è una scelta, perché siamo noi che scegliamo di cibarci di negatività.

Il secondo passo sarà quello dello svelamento di questo autoinganno (l’irrealtà della felicità disneyana) e il terzo passo quello della presa di coscienza, intraprendendo un viaggio alla scoperta di sé. Scendere agli inferi, nella nostra caverna dove in fondo al buio però potremo intravvedere una luce. Bisogna accettarsi, amarsi e perdonarsi. Scoprire di essere fili di un gigantesco arazzo dove ogni filo reciso indebolisce la struttura e quando questa armonia si rompe siamo infelici.

Si arriva infine al quarto passo, quello del cambiamento. L’uomo che esce dalla caverna è un uomo nuovo, liberato dal superfluo, capace di donare, di sentire gratitudine. Un uomo che ha fatto il “decluttering” mentale e spirituale (organizzazione) e nel silenzio corre a riprendersi la sua verità, ricucendo lo strappo e tornando alla fonte, cioè torna ad essere bambino ("E dire che ci avevano avvertiti: nessun regno dei cieli, se non diventerete come bambini"). Si tratta di una pulizia dal ciarpame esistenziale, mantenendoci lontani dal chiacchiericcio e dal pettegolezzo. La conclusione sarà quella di “Arrenderci di fronte al mistero. Imparare ad avere fede, a sentire che c'è un senso in tutto questo imperscrutabile casino, anche se non lo vediamo, che c'è un progetto, una direzione, che tutto quello che accade ha un significato preciso nel contesto della nostra evoluzione". E dopo aver ricordato che "La felicità è reale solo se condivisa" invita a mettersi a servizio degli altri per agevolare il loro cammino e di riflesso proseguire il nostro.

II.

Questo testo di Petruzzi mi ha aiutato a fare una lettura, magari um poco meno canonica, della parabola che abbiamo ascoltato oggi della donna alla ricerca della moneta perduta, leggendola come una ricerca della felicità.

Di fronte agli scribi e farisei che mormoravano contro Gesù perché accoglieva i peccatori e mangiava con loro, il Maestro non si difende né controbatte, ma solo racconta tre storie per descrivere come è Dio, che risulterà essere molto diverso da quello che pensavano gli scribi e i farisei. Ed è bello vedere che oltre ad un pastore e ad un papà, Gesù paragona suo Padre a una donna. Il Beato Papa Giovanni Paolo I, beatificato proprio domenica scorsa, diceva che Dio più che padre è madre.

Anche in questo breve racconto possiamo leggere un cammino verso la felicità che in parte ci ricorda il cammino proposto da Petruzzi.

Abbiamo una donna che ”aveva dieci monete e ne perde una”. Il primo passo è quindi quello di rendersi conto che manca qualcosa, non abituarsi alla mancanza . Ecco che allora la donna di fronte a questa perdita si mette subito alla ricerca e quindi non si rassegna alla cattiva abitudine di essere infelice. Il Cardinal José Tolentino Mendonça nel suo bel libro “O tesouro escondido” (Il tesoro nascosto) commentando proprio questa parabola dice che bisogna riapprendere l’arte della ricerca attraverso una “pedagogia della completezza”. Questa donna, dice, non da la colpa a nessuno per la perdita, non ricerca capri espiatori e non si è depressa. E noi? chiede il Cardinale Tolentino, possiamo tentare di consolarci con le monete rimaste e ingannarci con esse fingendo che non sentiamo la mancanza di un’altra vita, di un’altra freschezza, di un cuore intero. Perché, conclude il Cardinale, la grande sfida è quella della completezza, essere noi stessi. Anche lui vede quattro passi per la nostra liberazione: “accendere la luce”, “spazzare la casa”, “cercare accuratamente” e infine “condividere la gioia”. Io mi son chiesto perché mettersi subito alla ricerca della moneta di notte e non aspettare il giorno quando ci si vede meglio? E no, la donna di sicuro sapeva che non avrebbe dormito tutta notte pensando alla sua perdita. Appena ci si rende conto della mancanza della completezza, della felicità, ci si sente sospesi, e quindi bisogna mettersi subito a cercare, per essere felice oggi e non rimandare sempre a domani la nostra ricerca della felicità, perché domani non arriva mai. E una volta ritrovata la propria completezza si raggiunge la felicità che necessariamente dovrà essere condivisa con gli altri. Non possiamo essere felici da soli. La parabola si conclude dicendo che la donna «dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”».

III.

Anche Petruzzi conclude il suo bel libro dicendo che non c'è felicità nella solitudine: "Senza gli altri siamo orfani di noi stessi". Gli altri ci permettono di aprire gli occhi e spalancare i cuori.

È curioso vedere come anche lui, seppure per vie diverse, giunge alla stessa conclusione della parabola di oggi. La riflessione del nostro autore spazia tra le religioni orientali e filosofie esoteriche ma trascura quasi totalmente il pensiero cristiano. Se tutti (compreso il nostro autore che anche lui a volte, come tutti d’altronde, sembra vittima del “bias confirmation”) ci liberassimo un poco dai pregiudizi riguardo alla fede cristiana e seguissimo fedelmente quello che ci dice Gesù, ecco che i nostri occhi e il nostro cuore si spalancherebbero davvero e potrebbero vedere e sentire molto di più. In questo modo potremo finalmente liberarci dalla cattiva abitudine di essere infelici.


(La musica di fondo del video è “Come sei veramente” di Giovanni Allevi)



🇵🇹 O MAU HÁBITO DE SER INFELIZ

(texto e vídeo em 🇵🇹 português)

Uma reflexão para o XXIV Domingo do Tempo Comum C (11-9-2022)

> Lc 15,1-32 (A moeda encontrada)

I.

Entre os livros que li esta semana há um que realmente gostei e devorei em poucas horas, é o último livro de Ivan Petruzzi que saiu no ano passado intitulado "O Mau Hábito de Ser Infeliz”. Ele propõe um caminho de libertação deste mau hábito, constituído por 4 etapas, a partir da consciência do problema para chegar à mudança. O primeiro passo é a consciência de que vivemos uma vida dominada pela ansiedade que infecta toda a gente, não só os adultos que se enchem de drogas anti-ansiedade, mas também os adolescentes e os jovens, milhões dos quais já tentaram suicidar-se ou se auto-isolaram fechando-se nos seus quartos durante meses a fio sem sair, ou só saem à noite ou de madrugada para não se encontrarem com ninguém (jovens “Hikikomori”). Os homens não só se habituaram a ser infelizes, como até se apegaram a este hábito e se tornaram viciados nele. Petruzzi descreve impiedosamente o que ele chama a 'pessoa patológica infeliz', que está sempre atenta a toda a podridão do mundo, que se afasta das pessoas 'positivas' e só se rodeia de seres como ele. Existem duas características constantes destas pessoas infelizes: a de 'doomscrolling', ou seja, a procura obsessiva de más notícias (dooms = desgraça e scroll = rolar), e a de 'bias confirmation' (bias = preconceito e confirmation = confirmação), ou seja, a tendência para seleccionar apenas aquilo que confirma as próprias ideias (ou preconceitos) e eliminar as ideias contrárias. E por isso estamos catalogados com algoritmos que irão confirmar cada vez mais a nossa visão distorcida (e infeliz) do mundo. A infelicidade é, portanto, uma escolha, porque somos nós que escolhemos alimentar-nos da negatividade.

O segundo passo é desvendar esta auto-ilusão (a irrealidade da felicidade Disneyana) e o terceiro passo é tomar consciência dela, embarcando numa viagem de auto-descoberta. Para descer ao submundo, à nossa caverna onde no fundo da escuridão, no entanto, podemos vislumbrar uma luz. Devemos aceitar, amar e perdoar-nos a nós próprios. Descobrir que somos fios numa tapeçaria gigantesca onde cada fio cortado enfraquece a estrutura e quando esta harmonia é quebrada, ficamos infelizes.

Finalmente, chegamos ao quarto passo, o da mudança. O homem que sai da caverna é um homem novo, libertado do supérfluo, capaz de doar, de sentir gratidão. Um homem que fez a "decluttering" mental e espiritual (decantação, organização) e em silêncio corre para retomar a sua verdade, reparando o rasgo e voltando à fonte, ou seja, de volta a ser uma criança ("E para dizer que fomos avisados: nenhum reino dos céus, a menos que vos torneis como crianças"). É uma purificação do lixo existencial, mantendo-nos afastados de fofocas e mexericos. A conclusão será a de "Rendição perante o mistério. Aprender a ter fé, a sentir que existe um significado em toda esta confusão inescrutável, mesmo que não o vejamos, que existe um plano, uma direcção, que tudo o que acontece tem um significado preciso no contexto da nossa evolução". E depois de recordar que "A felicidade só é real se for partilhada", convida-nos a colocarmo-nos ao serviço dos outros para facilitar a sua viagem e, por extensão, a continuar a nossa própria.

II.

Este texto de Petruzzi ajudou-me a fazer uma leitura, talvez um pouco menos canónica, da parábola que hoje ouvimos da mulher em busca da moeda perdida, lendo-a como uma busca da felicidade.

Perante os escribas e fariseus que murmuravam contra Jesus porque Ele recebia os pecadores e comia com eles, o Mestre não se defende nem contrapõe, mas apenas conta três histórias para descrever como Deus é, o que acaba por ser muito diferente do que os escribas e fariseus pensavam. E é bom ver que para além de pastor e pai, Jesus compara o seu Pai a uma mulher. O Beato Papa João Paulo I, beatificado no domingo passado, costumava dizer que Deus é mais uma mãe do que um pai.

Também nesta curta história podemos ler um caminho para a felicidade que em parte nos lembra o caminho proposto por Petruzzi.

Temos uma mulher que "teve dez moedas e perdeu uma". O primeiro passo é, portanto, perceber que falta alguma coisa, não se habituar à falta . Assim, a mulher, confrontada com esta perda, procura imediatamente encontrá-la e assim não se resigna ao mau hábito de ser infeliz.

O Cardeal José Tolentino Mendonça no seu belo livro 'O tesouro escondido' comentando esta mesma parábola diz que precisamos de reaprender a arte de procurar através de uma 'pedagogia da completude'. Esta mulher, diz ele, não culpa ninguém pela perda, não procura bodes expiatórios e não está deprimida. E nós? pergunta o Cardeal Tolentino, podemos tentar consolar-nos com as moedas que sobram e enganar-nos com elas fingindo que não perdemos outra vida, outra frescura, um coração inteiro. Porque, conclui o Cardeal, o grande desafio é ser inteiro, sermos nós próprios. Também ele vê quatro passos para a nossa libertação: 'acender a luz', 'varrer a casa', 'procurar a fundo' e finalmente 'partilhar a alegria'. Eu me pergunto porquê partir imediatamente à noite para procurar a moeda e não esperar pela luz do dia, quando podemos ver melhor? Eh não, a mulher sabia certamente que não iria dormir toda a noite a pensar na sua perda. Assim que nos apercebemos da falta de integralidade, de felicidade, sentimo-nos suspensos, e por isso devemos começar imediatamente a procurar, para sermos felizes hoje e nem sempre adiar a nossa busca da felicidade para amanhã, porque o amanhã nunca chega. E uma vez encontrada a sua própria integridade, alcança-se a felicidade, que deve necessariamente ser partilhada com os outros. Não podemos ser felizes sozinhos. A parábola conclui dizendo que a mulher «depois de a encontrar, chama os seus amigos e vizinhos, e diz: 'Alegra-te comigo, pois encontrei a moeda que tinha perdido’».

III.

Petruzzi também conclui o seu belo livro dizendo que não há felicidade na solidão: "Sem os outros somos órfãos de nós próprios”. Outros permitem-nos abrir os nossos olhos e abrir bem os nossos corações.

É curioso ver como também ele, embora por caminhos diferentes, chega à mesma conclusão que a parábola de hoje. A reflexão do nosso autor estende-se pelas religiões e filosofias esotéricas orientais, mas negligencia quase totalmente o pensamento cristão. Se todos nós (incluindo o nosso autor, que por vezes, como todos os outros, parece ser vítima de “Bias confirmation” (preconceitos de confirmação) nos libertássemos um pouco dos nossos preconceitos sobre a fé cristã e seguíssemos fielmente o que Jesus nos diz, os nossos olhos e corações abrir-se-iam de facto e poderíamos ver e ouvir muito mais. Desta forma, poderíamos finalmente libertar-nos do mau hábito de sermos infelizes.


(A música de fundo do vídeo é 'Come sei veramente' de Giovanni Allevi)



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