🇮🇹 COME UN BAMBINO…
Una riflessione per la XXV Domenica, T.O. - B. (19–9-2021)
< Mc 9,30-37 (Secondo annuncio della passione).
I.
Settimana scorsa durante la consueta udienza del mercoledì, Papa Francesco nella sua catechesi sulla Santa Messa disse che l’omelia dev’essere ben preparata e breve. E ha raccontato: "Mi diceva un sacerdote - che una volta era andato in un'altra città dove abitavano i genitori - che il papà gli aveva detto: 'Tu sai, io sono contento perché con i miei amici abbiamo trovato una chiesa dove si fa una Messa senza omelia'".
Ha poi aggiunto il Papa: "Quante volte vediamo che durante l'omelia c'è chi si addormenta, altri chiacchierano, o si esce fuori a fumare una sigaretta".
Io allora mi sono detto che qui nella nostra chiesa non ho mai visto persone sbadigliare (forse perché c’è la mascherina), non le vedo chiacchierare ne tantomeno uscire a fumare.
Il Papa ha poi ribadito: "Quindi sia breve l'omelia, sia ben preparata. E come si prepara? Con la preghiera, con lo studio della parola di Dio, e fare una sintesi chiara. E breve. Non deve andare oltre i 10 minuti".
II.
Cari fedeli, non è facile preparare un’omelia. P. Giorgio dice che per preparare un'omelia breve ci vuole molto tempo, invece per prepararne una lunga bastano pochi minuti. Il Papa dice ancora che "L'omelia non è un discorso di circostanza, neppure una catechesi, né una conferenza o una lezione, ma «un riprendere quel dialogo che è già aperto tra il Signore e il suo popolo» affinché trovi compimento nella vita. L’esegesi autentica del Vangelo è la nostra vita santa!". Quando ero studente, la nostra scuola teologica aveva dedicato un convegno di studio sul tema dell’omelia e dopo aver dibattuto lungamente su cosa non doveva essere un’omelia, si è arrivati a varie conclusioni su cosa dev’essere l’omelia, e tra queste una mi ha colpito in modo particolare e mi è rimasta sempre impressa nella mente: “L’omelia è la testimonianza di fede del celebrante”.
Quando preparavo i miei studenti alla discussione della loro tesi di laurea io dicevo loro: dovete avere ben chiaro nella mente i punti principali della tesi che volete difendere e credere nelle teorie che presentate perché se non è chiaro nemmeno a voi cosa volete dire, figuriamoci per i vostri esaminatori. Lo stesso vale per l’omelia, se il predicatore non ha chiaro e non crede pienamente in quello che dice, figuriamoci gli ascoltatori. Quindi, omelia come testimonianza della propria fede, come sforzo di tradurre nella vita concreta la parola di Dio che la liturgia ci propone ogni domenica.
Il Papa concluse la sua catechesi dicendo che “La buona notizia, la parola di Dio entra dalle orecchie, arriva al cuore e poi alle mani per fare le opere buone". Così dopo aver riflettuto sulla parola di Dio dobbiamo concludere sempre con un’azione, altrimenti sono solo parole che volano via. Ci vuole invece non qualcosa che non vola via ma che rimane, che diventi vita. La nostra vita.
III.
Dopo questa introduzione ho già bruciato più della metà del tempo consentito. Ora in pochissimi minuti devo parlare del vangelo di oggi.
Il vangelo di oggi ci presenta ancora una volta Gesù come un vero pedagogo. Domenica scorsa lo abbiamo sentito riprendere veementemente Pietro chiamandolo Satana (la cosa peggiore uscita contro qualcuno dalla bocca di Gesù). Oggi invece cambia totalmente strategia, per il fatto che i discepoli avevano timore di interrogarlo, e per non avere ricevuto nessuna risposta quando chiese loro di cosa stavano parlando lungo la via. Vorrei proprio vedere chi aveva i coraggio di dire qualcosa dopo la lavata di capo a Pietro. Ecco che allora Gesù stavolta non si infuria, ma si siede con loro e spiega con pazienza quello che vuole insegnare.
Gesù chiede anche a ciascuno di noi di che cosa parliamo lungo la via della nostra vita. Quali sono gli argomenti che occupano i nostri pensieri e i nostri giorni. E magari anche noi come gli apostoli rimaniamo muti, perché sappiamo che la maggior parte di quello di cui parliamo durante la nostra vita non corrisponde a quello che ci dice Gesù, anzi, tante volte è proprio il contrario.
IV.
Nella nostra vita ci ritroviamo spesso a lottare contro il nostro egoismo ma con scarsi risultati. Come i discepoli che dopo avere vissuto per tre anni con Gesù si ritrovano a discutere su chi fosse il più grande tra loro. Vogliono assicurarsi qualcosa di concreto per quando Gesù non ci sarà più. Così anche noi nelle nostre relazione con gli altri vogliamo sempre trattenere qualcosa per noi. È difficile rinnegare se stessi come chiede Gesù, rinnegare il proprio egoismo che è sempre alle prese con gli egoismi degli altri. Vincere l’egoismo è la condizione per imparare ad amare. Gli egoisti non sanno amare.
Tante volte siamo egoisti perché pensiamo che in fondo nessuno ci ama davvero. Quando non ci sentiamo amati vogliamo sempre altro, siamo sempre insoddisfatti, e se siamo insoddisfatti con noi stessi lo saremo sempre anche con gli altri. Allora cerchiamo di trattenere il più possibile le nostre piccole certezze, le cose, le persone… Perché pensiamo che amare è avere, trattenere, possedere… invece Gesù dice che amare è dare, lasciar andare, essere liberi. “Nessuno mi toglie la mia vita, sono io che la dono”. Per amare bisogna essere liberi.
V.
E in conclusione, che cosa dobbiamo fare? Il Papa, come abbiamo visto, dice che l’omelia dopo essere passata dalle orecchie al cuore, deve passare alle mani, cioè diventare azione concreta. È lo stesso Gesù che ci dice cosa dobbiamo fare. Il grande pedagogo Gesù offre ai suoi discepoli, a ciascuno di noi, un modello concreto da imitare. Forse ci saremmo aspettati che Gesù ci avesse proposto l’esempio di una persona saggia, altruista, tipo una mamma che ha cresciuto nel sacrificio i suoi figli, o un volontario che offre la sua vita per aiutare gli altri, e invece prende un bambino tra le sue braccia. Questo è il modello. Qualcuno che non ha molto da dare, un po' di tenerezza, ma che ha bisogno di affetto, di amore per vivere. Gesù ci chiede di essere come un bambino, tra le sue braccia. Gesù vuole solo che ci fidiamo di Lui, che ci affidiamo a Lui, che ci lasciano amare da Lui, proprio come un bambino nelle braccia del suo papà.
🇵🇹 COMO UMA CRIANÇA…
Uma reflexão para o XXV Domingo, T.O. - B. (19-9-2021)
< Mc 9:30-37 (Segundo anúncio da Paixão).
I.
Na semana passada, durante a habitual audiência da quarta-feira, Papa Francisco, na sua catequese sobre a Santa Missa, disse que a homilia deve ser bem preparada e breve. E contou: "Um padre - que uma vez tinha ido para outra cidade onde viviam os seus pais - disse-me que o seu pai lhe tinha dito: 'Sabe, estou feliz porque com os meus amigos encontrámos uma igreja onde se celebra a Missa sem uma homilia'".
O Papa acrescentou: "Quantas vezes vemos que durante a homilia algumas pessoas adormecem, outras conversam, ou vão lá para fora fumar um cigarro".
Disse então a mim próprio que aqui na nossa igreja nunca vi pessoas a bocejar (talvez porque usam uma máscara), não as vejo a conversar ou mesmo a sair para fumar.
O Papa reiterou então: "Que a homilia seja curta, que seja bem preparada. E como se prepara? Com a oração, com o estudo da palavra de Deus, e para fazer uma síntese clara. E breve. Não deve ser superior a 10 minutos”.
II.
Caros fiéis, não é fácil preparar uma homilia. O Padre Giorgio diz que se demora muito tempo para preparar uma homilia curta, mas que se demora apenas alguns minutos para preparar uma longa. O Papa prossegue dizendo que "a homilia não é um discurso de circunstância, nem sequer uma catequese, nem uma palestra ou uma lição, mas “è retomar o diálogo que já está aberto entre o Senhor e o seu povo", para que possa encontrar realização na vida. A autêntica exegese do Evangelho é a nossa vida santa".
Quando eu era estudante, a nossa escola teológica dedicou uma conferência de estudo sobre o tema da homilia, e depois de ter debatido longamente sobre o que uma homilia não deveria ser, chegaram a várias conclusões sobre o que deveria ser a homilia, e entre estas, uma delas tocou-me de uma forma particular e sempre me impressionou: "A homilia é o testemunho de fé do celebrante".
Quando eu preparava os meus estudantes para a discussão da sua tese, dizia-lhes: “devem ter em mente os pontos principais da tese que querem defender e acreditar nas teorias que apresentam, porque se não está claro até para vocês o que querem dizer, quanto mais para os vossos examinadores”. O mesmo se aplica à homilia: se o pregador não for claro e não acreditar totalmente no que diz, quanto mais os ouvintes. Portanto: a homilia como testemunho de fé, como um esforço para traduzir em vida concreta a palavra de Deus que a liturgia nos propõe todos os domingos.
O Papa concluiu a sua catequese dizendo que "A boa nova, a palavra de Deus entra pelos ouvidos, chega ao coração e depois às mãos para fazer boas obras". Assim, depois de reflectir sobre a palavra de Deus, devemos sempre concluir com uma acção, caso contrário são apenas palavras que voam para longe. O que é necessário não é algo que não voe para longe, mas algo que permanece, que se torna vida. A nossa vida.
III.
Depois desta introdução, já queimei mais de metade do tempo permitido. Agora em apenas alguns minutos devo falar sobre o evangelho de hoje.
Hoje o evangelho apresenta-nos mais uma vez Jesus como um verdadeiro pedagogo. No domingo passado ouvimo-lo repreender veementemente Pedro, chamando-lhe Satanás (a pior coisa a sair da boca de Jesus contra alguém). Hoje, porém, ele muda totalmente de estratégia, porque os discípulos tinham medo de o interrogar, e porque não receberam resposta quando ele lhes perguntou do que estavam a falar no caminho. Gostaria de ver quem teria a coragem de dizer algo a Jesus após a lavagem da cabeça de Pedro. Assim, desta vez Jesus não se zanga, mas senta-se com eles e explica pacientemente o que quer ensinar.
Jesus também pergunta a cada um de nós sobre o que falamos ao longo da nossa vida. Quais assuntos ocupam os nossos pensamentos e os nossos dias. E talvez nós também, tal como os apóstolos, permaneçamos em silêncio, porque sabemos que a maior parte daquilo de que falamos durante a nossa vida não corresponde ao que Jesus nos diz, na verdade, muitas vezes é exactamente o contrário.
IV.
Nas nossas vidas, encontramo-nos frequentemente a lutar contra o nosso egoísmo, mas com poucos resultados. Como os discípulos que, depois de viverem com Jesus durante três anos, se encontram a discutir sobre quem era o maior entre eles. Eles querem assegurar algo concreto para quando Jesus se for embora. Assim também, nas nossas relações com os outros, queremos sempre guardar algo para nós próprios. É difícil renegar-se como Jesus pede, renegar o próprio egoísmo que está sempre a lutar contra o egoísmo dos outros. Superar o egoísmo é a condição para aprender a amar. Os egoístas não sabem amar.
Muitas vezes somos egoístas porque pensamos que no fundo ninguém nos ama realmente. Quando não nos sentimos amados queremos sempre algo mais, estamos sempre insatisfeitos, e se estamos insatisfeitos connosco próprios, estaremos sempre insatisfeitos com os outros. Por isso tentamos manter as nossas pequenas certezas tanto quanto possível, assim as coisas, as pessoas... Porque pensamos que amar é ter, manter, possuir... em vez disso Jesus diz que amar é dar, deixar ir, ser livre. "Ninguém me tira a minha vida, sou eu que a dou". Para amar é preciso ser-se livre.
V.
E, em conclusão, o que devemos fazer? O Papa, como vimos, diz que a homilia, depois de passar dos ouvidos ao coração, deve passar para as mãos, ou seja, tornar-se acção concreta. É o próprio Jesus que nos diz o que devemos fazer. O grande pedagogo Jesus oferece aos seus discípulos, a cada um de nós, um modelo concreto a imitar. Talvez esperávamos que Jesus nos tivesse dado o exemplo de uma pessoa sábia e abnegada, como uma mãe que criou os seus filhos em sacrifício, ou um voluntário que oferece a sua vida para ajudar os outros, mas que em vez disso pega uma criança nos seus braços. Este é o modelo. Alguém que não tem muito para dar, um pouco de ternura, mas que precisa de afecto, gosta de viver. Jesus pede-nos para sermos como uma criança, nos seus braços. Jesus só quer que confiemos Nele, que nos abandonamos Nele, que O deixemos amar-nos, tal como uma criança nos braços do seu pai.
🇬🇧 LIKE A CHILD...
A reflection for the XXV Sunday, T.O. - B. (19-9-2021)
< Mk 9:30-37 (Second announcement of the passion).
I.
Last week during the customary Wednesday audience, Pope Francis in his catechesis on the Holy Mass said that the homily must be well prepared and brief. And he recounted: "A priest told me - who had once gone to another city where his parents lived - that his father had told him: 'You know, I am happy because with my friends we have found a church where Mass is celebrated without the homily'".
The Pope added: "How often do we see that during the homily some people fall asleep, others chat, or go outside to smoke a cigarette".
I then said to myself that here in our church I have never seen people yawning (perhaps because there is a mask), I don't see them chatting or even going out to smoke.
The Pope then reiterated: "So let the homily be short, let it be well prepared. And how is it prepared? With prayer, with the study of the word of God, and to make a clear synthesis. And brief. It should not be longer than 10 minutes.
II.
Dear faithful, it is not easy to prepare a homily. Father Giorgio says that it takes a long time to prepare a short homily, but it only takes a few minutes to prepare a long one. The Pope goes on to say that "the homily is not a speech of circumstance, not even a catechesis, nor a lecture or a lesson, but "a resumption of that dialogue which is already open between the Lord and his people" so that it may find fulfilment in life. The authentic exegesis of the Gospel is our holy life!". When I was a student, our theological school dedicated a study conference to the theme of the homily, and after having debated at length on what a homily should not be, they came to various conclusions on what the homily should be, and among these one struck me in a particular way and has always remained impressed in my mind: "The homily is the celebrant's testimony of faith".
When I was preparing my students for the discussion of their thesis, I told them: you must have clear in your mind the main points of the thesis you want to defend and believe in the theories you present because if it is not clear even to you what you want to say, let alone for your examiners. The same goes for the homily, if the preacher is not clear and does not fully believe in what he is saying, let alone the listeners. So, homily as a testimony of one's faith, as an effort to translate into concrete life the word of God that the liturgy proposes to us every Sunday.
The Pope concluded his catechesis by saying that "The good news, the word of God enters through the ears, reaches the heart and then the hands to do good works". So after reflecting on the word of God we must always conclude with an action, otherwise they are just words that fly away. What is needed is not something that does not fly away, but something that remains, that becomes life. Our life.
III.
After this introduction I have already burnt up more than half the time allowed. Now in just a few minutes I must speak about today's gospel.
Today's gospel once again presents Jesus to us as a true pedagogue. Last Sunday we heard him vehemently rebuke Peter, calling him Satan (the worst thing to come out of Jesus' mouth against anyone). Today, however, he totally changes strategy, because the disciples were afraid to question him, and because they received no answer when he asked them what they were talking about on the way. I would like to see who had the courage to say something after the ‘washing of the head’ of Peter. So this time Jesus does not get angry, but sits down with them and patiently explains what he wants to teach.
Jesus also asks each one of us what we talk about along the way of our lives. What topics occupy our thoughts and our days. And perhaps we too, like the apostles, remain silent, because we know that most of what we talk about during our lives does not correspond to what Jesus tells us, in fact, many times it is quite the opposite.
IV.
In our lives we often find ourselves fighting against our own selfishness, but with little result. Like the disciples who, after living with Jesus for three years, found themselves arguing about who was the greatest among them. They want to secure something concrete for when Jesus is gone. So too, in our relationships with others, we always want to keep something for ourselves. It is difficult to deny oneself as Jesus asks, to deny one's own selfishness which is always struggling with the selfishness of others. Overcoming selfishness is the condition for learning to love. Selfish people do not know how to love.
Many times we are selfish because we think that deep down nobody really loves us. When we do not feel loved we always want something else, we are always dissatisfied, and if we are dissatisfied with ourselves we will always be dissatisfied with others. So we try to hold on to our little certainties as much as possible, things, people... Because we think that to love is to have, to hold on to, to possess... instead Jesus says that to love is to give, to let go, to be free. "No one takes my life from me, it is I who give it". To love one must be free.
V.
And in conclusion, what should we do? The Pope, as we have seen, says that the homily, after passing from the ears to the heart, must pass to the hands, that is, become concrete action. It is Jesus himself who tells us what we must do. The great pedagogue Jesus offers his disciples, each one of us, a concrete model to imitate. Perhaps we would have expected Jesus to have given us the example of a wise, selfless person, like a mother who has brought up her children in sacrifice, or a volunteer who offers his life to help others, but instead he takes a child in his arms. This is the model. Someone who does not have much to give, a little tenderness, but who needs affection, love to live. Jesus asks us to be like a child, in his arms. Jesus only wants us to trust Him, to rely on Him, to let Him love us, just like a child in its father's arms.
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